__ La zona dello stretto di Messina risulta compresa tra due importanti sistemi montuosi: l’estremo lembo nord-orientale della catena dei Peloritani ed il Massiccio dell’Aspromonte, che con i 1955 m di Monte Cocuzza risulta il rilievo più elevato del sistema. Questa particolare configurazione orografica esercita una marcata influenza sullo sviluppo delle locali condizioni del tempo, in quanto l’area dello Stretto si va restringendo, procedendo da sud verso il suo limite settentrionale; il che comporta una graduale accentuazione dell’effetto di imbuto, in quanto questa sorta di vero e proprio “tubo di Venturi” agisce sulle correnti aeree quando queste provengono dai quadranti meridionali, soprattutto nei bassi strati dell’atmosfera. La catena dei Peloritani degrada dolcemente da Monte Scuderi (1253 m) ad Antennamare (1127 m), a Pizzo Chiarino (841 m) a Monte Ciccia (609 m) e Curcuraci (292 m), fino a Capo Peloro con modesti avvallamenti disposti perpendicolarmente alla costa, e questo comporta una graduale attenuazione dell’effetto schermante del rilievo montuoso nei riguardi dei venti di Ponente e Maestrale. E’ facile quindi notare che questi venti quando spirano tra “moderato” e “forte”, mentre appaiono sensibilmente attenuati sotto la costa sicula a sud del centro abitato di Messina, si manifestano in tutta la loro energia procedendo verso Capo Peloro. La particolare orografia dell’area, esalta gli effetti dei venti meridionali, di cui lo Scirocco è quello che spira con maggiore frequenza, oltre che il più importante per le condizioni meteomarine nell’ambito dello Stretto di Messina. Lo Scirocco, infatti, s’identifica con un flusso d’aria calda d’origine africana, innescato da un’area depressionaria presente sui bacini occidentali italiani, sulla Sardegna, o più classicamente su una depressione formatasi sul golfo di Genova. Sotto certi aspetti si può definire un vento di “risucchio” verso l’area tirrenica, che talvolta si estende verso nord fino ad interessare l’Europa centrale e i paesi posti sul Baltico, non dimenticando che lo Scirocco è una sorta d’araldo, cioè d’annunciatore dell’arrivo dei fronti freddi atlantici, che portano con se gli imponenti cumulonembi, che al loro passaggio, fanno cadere lo scirocco dando la stura a forti manifestazioni temporalesche. A differenza dei venti provenienti dagli altri quadranti, lo Scirocco si manifesta solitamente con una fase di graduale intensificazione, senza forti accelerazioni, non apparendo impulsivo come il Maestrale, e cessa di colpo non appena raggiunge la sua fase più violenta. Solitamente una fase sciroccale dura da uno a tre giorni anche se sono state osservate fasi particolarmente lunghe durate fino a nove giorni. Lo Scirocco s’insinua lungo lo Stretto di Messina come in una gola, visto che questi assume la forma di un imbuto rovesciato, che si va restringendo man mano che si procede verso nord, raggiungendo la massima velocità a Capo Peloro, per poi divergere ed attenuarsi sensibilmente allorquando sfocia nell’area tirrenica. Proveniente da Sud-Est intorno ai 140 gradi a largo dello Ionio, lo Scirocco soffia da Sud davanti alla torre di San Ranieri, e devia addirittura a Sud-ovest al traverso Capo Peloro; e gli anemometri posti lungo il pilone Enel del Centro Meteo della Società Stretto di Messina lo rilevano con una direzione di provenienza tra 200 e 220 gradi. Può dirsi dunque che lo Stretto di Messina è l’unico posto al mondo dove lo Scirocco è rilevato come Libeccio, anche se non ne ha certamente le peculiari caratteristiche. Il moto ondoso va gradualmente aumentando di pari passo con la persistenza del vento e quando lo Scirocco spira tra il moderato e il forte, lo Stretto si mantiene molto mosso o agitato, senza apportare, però mareggiate di una certa importanza. Le imponenti mareggiate che negli anni scorsi hanno interessato questo braccio di mare si sono verificate con venti di Scirocco e Levante, e proprio questo tratto di litorale risulta il più esposto alla furia dei marosi, con un’onda indisturbata che si forma sulle coste libiche e giunge fin qui dopo ben 800 Km, che in passato ha causato gravi danni alle strutture. Il vento più intenso in questo braccio di mare è stato misurato alle 6.10 del 24 Novembre del 1991 a Torre Faro, allorquando una violentissima raffica di Levante (E) e Scirocco (SE) raggiunse la velocità di 77 nodi pari a 142 Km/h, mentre alla quota di 128 metri gli anemometri misurarono ben 163 Km/h pari a 88 nodi. Statisticamente i mesi più sciroccali dell’anno sono aprile, maggio e novembre, in concomitanza con la presenza delle depressioni che all’interno del Mediterraneo apportano importanti e prolungate fasi di maltempo, con copiose precipitazioni sulle regioni centrosettentrionali, che durante i mesi invernali assumono spesso carattere nevoso. Non si può concludere la trattazione dei venti nell’area dello stretto di Messina e delle isole Eolie senza parlare di quelli che provengono dai quadranti settentrionali. Questo flusso di correnti è quello statisticamente più frequente e impetuoso nell’area tirrenica, in quanto accompagna le perturbazioni provenienti dall’Atlantico con traiettorie verso Est o Nord-est. E’ caratterizzato pertanto da venti di Ponente o di Maestrale o Ponente e Maestro, e talvolta da Tramontana. Le isole Eolie sono particolarmente battute da questi venti che riescono a sollevare onde fino a livello di mare grosso comprese tra 6 e 9 metri, considerando un fetch di 450 Km dalle coste orientali della Sardegna fino alle Eolie, durante le fasi più importanti queste rimangono isolate anche per alcuni giorni. Le coste occidentali eoliane si presentano pertanto rocciose e ripide fino allo strapiombo per l’erosione secolare delle onde, innescate dai venti forti e fortissimi provenienti da Ovest. Tali venti hanno dato analoga fisionomia anche alle coste calabre da Scilla a Palmi, perché contro questi tratti di costa s’abbatte la furia delle onde sospinte dal Ponente o dal Maestrale. All’imboccatura Nord dello Stretto di Messina, questi venti sono in parte arginati dall’estrema propaggine dei Peloritani, e quelli che si spingono lungo le vallate del versante occidentale si presentano sensibilmente attenuati sottocosta in misura sempre maggiore da Ganzirri a Messina, e più a sud verso Taormina, salvo brevi zone delle coste siciliane, a monte delle quali esistono valichi facilmente superabili dalle correnti di Maestrale. I venti più intensi rilevati nel paraggio si sono verificati il 31 dicembre del 1979 con una raffica di Maestrale di 82 nodi pari a 152 Km/h, e il 28 dicembre del 1999, con un vento di Ponente e Maestro di 80 nodi, pari a 148 Km/h. Come già sottolineato, i forti venti provenienti dai quadranti settentrionali, durante il semestre freddo apportano delle imponenti mareggiate lungo le coste settentrionali della nostra provincia. Il mare in burrasca e la furia dei marosi hanno già provocato gravi fenomeni d’erosione delle coste su tutto il litorale che va da Capo Peloro a S.Agata di Militello, mentre la navigazione e i collegamenti con le isole Eolie subiscono inevitabili difficoltà o interruzioni con mare agitato, corrispondente alla cifratura 5 della scala Douglas.
_Le Correnti
Non
si può trattare delle condizioni meteomarine sullo Stretto senza
parlare delle correnti marine che qui assumono un’importanza rilevante
sulla navigazione commerciale e da diporto, ivi compresa quella della
marineria locale dedita alla pesca. Queste correnti assommano quelle di
marea di tipo semidiurno, ossia con due alte e due basse maree nell’arco
delle 24 ore, e quelle permanenti termosaline, giacché le acque del
Tirreno, alimentate in superficie dall’Atlantico, attraverso lo stretto
di Gibilterra, sono meno dense dello Ionio e quindi meno salate. La
differenza di livello che ne consegue, comporta uno scorrimento
superficiale permanente di acque dal Tirreno allo Ionio. Questo flusso è
compensato in profondità da acque che traboccano la sella di Gibilterra
e tracimano nell’Atlantico. Quando la luna è in sigizie, cioè piena o
nuova, l’ampiezza dell’oscillazione di marea è teoricamente di 34 cm,
ma questo scalino virtuale può raggiungere eccezionalmente i 40 cm. A
ciascuna alternanza di livelli di marea, segue l’innesco di una corrente
marina, la cui velocità cresce fino a 5-6 nodi, corrispondente tra i 9
e gli 11 Km/h in determinati punti, per poi diminuire fino ad una fase
di “stanca”, che può durare anche mezzora, prima che abbia inizio
l’inversione di corrente, che è definita “montante” se procede dallo
Ionio al Tirreno o “scendente” se è di senso inverso. Le
variazioni di velocità, rilevabili in diverse zone dello Stretto
provocano un certo rimescolamento anche sul piano verticale, e quindi
una notevole turbolenza. Quando una corrente montante è in fase di
stanca, e tende a disporsi trasversalmente all’asse dello Stretto, essa
viene a formare il cosiddetto “taglio”, visibile attraverso il
ribollimento delle acque. Esiste anche un 2° taglio che ha
caratteristiche di rapido incremento del moto, ed è molto evidente in
fase di corrente scendente, e può essere localmente accentuato dalla
particolare morfologia dei fondali o dai promontori costieri. Zone di
forte turbolenza con vistoso ribollimento delle acque si possono formare
per effetto delle controcorrenti, particolarmente evidenti a nord di
Punta Pezzo in Calabria sotto l’azione di correnti montanti o davanti a
Capo Peloro. Tagli apparenti possono essere provocati da intense e
prolungate raffiche di vento in concomitanza con forti discontinuità
frontali In ogni cambiamento di senso delle correnti, è
chiaro che faccia il suo giuoco anche la corrente permanente
termosalina, anche se risulta debole intorno a mezzo nodo, e tipicamente
stratificata. Le masse superficiali che muovono da nord verso sud come
corrente termosalina e quelle profonde che da sud muovono verso nord,
interagiscono tra loro coinvolgendo anche la corrente termosalina. Le
masse d’acqua più dense, sollevate a quote superiori, specialmente dove
la morfologia del fondale marino ne favorisce il movimento, tendono a
riportarsi alla quota che compete alla loro densità. Correnti di
marea, correnti termosaline, effetti di rimescolamento sul fondo e
relativa turbolenza, con il cosiddetto upwelling, cioè la risalita di
acque profonde dello Ionio, tagli trasversali all’asse dello Stretto,
riflessioni di fronti d’onda, discontinuità delle spiagge sono tutti
fattori di disturbo al normale sviluppo dell’onda, che pertanto, non è
in grado di rispettare la legge che lega il suo profilo alla velocità e
alla persistenza del vento che scorre sul pelo dell’acqua.
_La "Lupa"
Un
altro fenomeno molto pericoloso per la navigazione nello Stretto di
Messina è quello che i vecchi pescatori di Ganzirri e Torre Faro
chiamano simpaticamente “Lupa”. Questa sorta di cordone nebbioso si
forma a pochi metri dal livello del mare, disposto nel bel mezzo dello
Stretto, anche se qualche volta si spinge persino ad avvolgere la città e
il porto. Normalmente questa sorta di serpentone si estende per una
lunghezza non inferiore a 10 Km e si forma preferibilmente nei mesi
d’Aprile e Maggio e può persistere anche per due o tre giorni senza
cambiare sostanzialmente di posizione, fino al suo completo
dissolvimento. La visibilità
all’interno è nell’ordine di poche decine di metri, ma in alcuni casi
può scendere fino a qualche metro, e di fatto, è l’unico fenomeno che
riesce a fermare i collegamenti tra le due sponde, operati dai pur
bravissimi comandanti delle navi traghetto, che si devono arrendere
davanti a questo muro invalicabile. A
provocare la Lupa è uno strato d’inversione termica a qualche decina di
metri dalla superficie marina, che si forma quando lungo lo Stretto
scorre un debole flusso caldo d’estrazione africana, impedendo all’aria
umida di sollevarsi per convenzione. Così imprigionata, l’aria a
contatto con la superficie marina, notevolmente più fredda anche per la
riemersione delle freddissime correnti profonde che risalgono dai
fondali ionici con una temperatura tra i 15 e i 16 gradi, trova le
condizioni alla condensazione del vapore in essa contenuto, e quindi
alla formazione di questa particolare nebbia d’avvezione.